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LIBRI & SEGNALAZIONI
Eugène Minkowski
Verso una cosmologia
Frammenti filosofici
Introduzione di Eugenio Borgna
Einaudi 2006, Euro 22
La lettura di questo libro per un
terapeuta della Gestalt è al tempo stesso un incontro con le proprie
radici epistemologiche e un’apertura verso possibilità di ricerche
future, stimolate da spunti a volte frammentari, ma capaci sempre di
sbalzare l’attenzione verso l’irriducibile freschezza e novità
dell’ovvio.
“Verso una cosmologia” è un testo pubblicato per la prima volta nel
1936 e ora disponibile in Italia grazie all’edizione della
Biblioteca Einaudi e all’introduzione di Eugenio Borgna.
E’ il libro che chiude la trilogia di Minkowski dopo “La
schizofrenia” e “Il tempo vissuto”, ed è uno studio sulla percezione
e più precisamente sul sentire, declinato nelle sue varie modalità
sensoriali.
L’autore, uno dei primi e più raffinati studiosi che traccia
l’incontro fra fenomenologia e psicopatologia, ci offre, attraverso
un linguaggio poetico dalle inattese aperture, un testo esemplare e
vivo che ci consente di avvicinare l’esperienza della ‘posizione’
fenomenologica e di attraversarla “in vivo”. Un libro, afferma
Borgna nella sua introduzione, “così attuale e così prodigiosamente
vicino ai grandi problemi della condizione umana che, ieri come
oggi, non può essere colta nei suoi abissi di significato
psicologici e psicopatologici se non con un linguaggio estraneo a
ogni gergalità e ad ogni riduzionismo terminologico”.
Oltre ad essere un esempio attualissimo di fenomenologia viva, il
testo offre alcuni spunti illuminanti di confronto con la posizione
psicoanalitica, come ad esempio la critica alla visione del lavoro
artistico, indebitamente ridotto, secondo l’autore, all’espressione
sublimante di un conflitto affettivo che non dà ragione dello
slancio creativo, il quale trae forza da ben altre inquietudini e
ricerche.
Questo slancio creativo non proviene infatti da un conflitto
affettivo intrapsichico, ma da quello che Minkowski chiama conflitto
“antropo-cosmico”, un conflitto, cioè, che si tende fra le forze
irrimediabilmente contrapposte fra individuo e ambiente, fra uomo e
cosmo. Come non ritrovare assonanze significative con il concetto
gestaltico di adattamento creativo, ricerca di una sintesi tutt’altro
che intrapsichica che si srotola sulla linea di confine in cui
l’ambiente e l’organismo si incontrano e con-finiscono?
G.F.
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Giacomo Rizzolatti, Corrado
Sinigaglia
So quel che fai
Il cervello che agisce e i neuroni specchio
R. Cortina, 2006, Euro 21
La scoperta dei neuroni mirror, avvenuta a metà degli anni ’90 ad
opera di Giacomo Rizzolatti e collaboratori dell’Università di
Parma, ha aperto nuove e rivoluzionarie prospettive di ricerca
nell’ambito delle neuroscienze, con conseguenze che stanno
attraversando ambiti disciplinari diversi come la psicologia, la
pedagogia, la sociologia, l’antropologia, la linguistica.
I mirror costituiscono una popolazione neuronale che presenta un
funzionamento davvero eccezionale: essi si attivano non solo quando
il soggetto compie un’azione, ma anche quando vede un altro
compierla oppure avere l’intenzione di compierla. Inoltre, il
sistema mirror si attiva allo stesso modo quando il soggetto prova
un’emozione e quando vede un altro provarla.
Questo libro, scritto da Rizzolatti (Direttore del Dipartimento di
Neuroscienze dell’Università di Parma) e da Sinigaglia (che insegna
Filosofia della Scienza all’Università di Milano), ha il merito di
presentare con chiarezza i risultati di queste ricerche e di
evidenziarne le implicazioni cognitive, comunicative e, in un certo
senso, relazionali.
Per noi gestaltisti è particolarmetene interessante trovare la
corrispondenza con alcune nostre linee epistemologiche di fondo.
Alcuni esempi: c’è una comprensione che non è cognitiva, ma
immediatamente presente nell’azione (“il cervello che agisce è anche
e anzitutto un cervello che comprende”, pag 3); la realtà non è
indifferente o neutra, ma già eccitante e intenzionata (“…la tazzina
funge da polo d’atto virtuale (…) la vista della tazzina non sarebbe
che una forma preliminare d’azione, una sorta di appello ad agire
che (…) la caratterizza come qualcosa da prendere per il manico, con
due dita, ecc., identificandola così in funzione delle possibilità
motorie che essa racchiude”, pag. 47-48); l’individuo/organismo
separato dal suo ambiente/contesto è un’astrazione (“Ciò mostra
quanto radicato e profondo sia il legame che ci unisce agli altri,
ovvero quanto bizzarro sia concepire un io senza un noi”, pag 4).
Inoltre è sorprendente trovare nel testo autori a noi molto
familiari e persino costitutivi delle nostre radici (G.H. Mead, W.
James, M. Merleau-Ponty) che vengono citati e valorizzati per aver
fornito ante-litteram alcune delle più precise descrizioni
fenomenologiche dell’esperienza intersoggettiva, oggi ampiamente
confermate da queste scoperte. A questo proposito viene citato anche
Daniel Stern (il quale nei suoi lavori cita a sua volta ampiamente
queste ricerche) in quanto il sistema dei mirror sarebbe alla base
dell’intersoggettività, quell’esperienza di reciprocità (“io so che
tu sai che io so…”) che costituisce la matrice fondamentale delle
interazioni umane.
Un libro, dunque, che offre un accessibile aggiornamento su queste
ricerche e conferma la validità delle straordinarie intuizioni
teoriche dei nostri fondatori attraverso un differente linguaggio e
in un ambito di indagine attiguo alla nostra quotidiana esperienza
clinica.
G.F.
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James W. Barron (a cura di)
Dare un senso alla diagnosi
R. Cortina,
2005, Euro 35
Il DSM, nelle varie edizioni che si sono susseguite dalla sua prima
stesura nel 1951, è diventato il riferimento principale per quanto
riguarda la classificazione e la diagnosi dei cosiddetti “disturbi
mentali”. Si tratta di uno strumento discusso e controverso sia da
parte dei ricercatori che, ancor di più, dei clinici.
Il libro raccoglie i contributi di vari autori (ricercatori,
psichiatri, psicoanalisti, terapeuti della famiglia) che discutono e
criticano i principi, le basi, le procedure del manuale cercando di
metterne in luce i limiti e i vantaggi. L’utilità e la validità del
“sistema DSM” è sottoposta al vaglio critico dei vari autori, alcuni
dei quali si collocano a favore di un approccio diagnostico che
tenga più conto della soggettività del paziente, del continuum
dell’esperienza, della storia evolutiva, delle relazioni
interpersonali e persino del vissuto controtransferale del
terapeuta. Questa critica, anche se presenta punti di vista
sistemici e che sostengono un approccio dimensionale e complesso,
origina per lo più da una prospettiva teorica psicodinamica e
psicoanalitica.
Il merito del testo è di offrire al lettore questo vivace dibattito
dando l’occasione di approfondire criticamente i vari aspetti
problematici della classificazione del DSM, prospettiva utile
proprio laddove una distanza a priori rischia di essere preconcetta
e poco argomentata, se non anche ideologica.
Al di là dell’utilità o della validità del DSM, resta l’importanza
di riflettere sulla complessità dei temi legati alla diagnosi e alla
psicopatologia: anche noi gestaltisti, che siamo stati capaci di
evidenziare più di altri le trappole e i paradossi dell’astrazione
diagnostica e della classificazione nomotetica, non possiamo eludere
questo dibattito, se non altro per collocarci dialetticamente
rispetto ad esso.
G.F.
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