S.I.P.G. Società Italiana Psicoterapia Gestalt

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RECENSIONI

 

Giovanni Stanghellini

Psicopatologia del senso comune

Raffaello Cortina editore

Milano, 2006 - euro 22

 

 

Questo libro di  Giovanni Stanghellini propone una lettura inedita e molto interessante della psicopatologia della schizofrenia e della psicosi maniaco-depressiva a partire da una dichiarata e feconda contaminazione fra sapere filosofico e sapere psicopatologico. Ma il lavoro è anche attentamente sostenuto dall’integrazione dei recenti sviluppi delle neuroscienze, dell’infant research e della psicoterapia.

Lo studio, di taglio chiaramente fenomenologico,  prende le mosse da una rivisitazione critica ed accurata delle prospettive psicopatologiche sulla psicosi nella storia della psichiatria. La traccia seguita dall’autore, e in linea con la tradizione della psichiatria fenomenologia, è che la psicosi sia lo scacco del soggetto come essere sociale. L’analisi di questo “essere sociale” portata avanti nel testo mette in relazione, in particolare, il concetto di senso comune, koine aisthesis, di Aristotele con il funzionamento dei neuroni mirror e con la prospettiva dell’intersogettività di Stern. Il senso comune che l’autore identifica come fondamento del poter-essere-sociali (e quindi non psicotici) è una percezione diretta, pre-cognitiva, corporea e incarnata dell’altro e di sé sulla quale si basa la sintonizzazione reciproca e ogni possibilità comunicativa. E’ questo “senso comune” che risulta essere profondamente disturbato nell’esperienza psicotica schizofrenica e maniaco depressiva. Il libro tratta del vissuto soggettivo di queste due esperienze psicotiche mettendone in luce le specificità e le differenze: “le persone vulnerabili alle schizofrenie sono debolmente ancorate al senso comune, mentre quelle vulnerabili alle psicosi maniaco-depressive sono pesantemente incagliate ad esso”.

Si tratta di un incrocio di prospettive con il quale è estremamente interessante confrontare e situare la nostra prospettiva gestaltica: il dialogo con queste linee di riflessione e ricerca non può che confermare e rafforzare la nostra definizione teorica e la nostra phronesis clinica. La linea di ricerca che Stanghellini ci propone nel suo libro può dare un significativo sostegno al nostro sforzo di mantenere il discorso psicopatologico sempre sul filo della relazione e dell’intersoggettività cercando di evitare di considerare il malessere come un attributo dell’individuo, ma rimandandolo sempre alla relazione. Sforzo difficilissimo per i limiti stessi del nostro linguaggio cartesiano e sempre in bilico perché la semplificazione indotta dalla prospettiva individuale e intrapsichica ci attrae e nello stesso tempo ci sottrae dal gioco angosciante e paradossale del sintonizzarci con l’in-sintonizzabile.

 

 

 Eugène Minkowski


Verso una cosmologia
Frammenti filosofici

Introduzione di Eugenio Borgna
Einaudi 2006, Euro 22

La lettura di questo libro per un terapeuta della Gestalt è al tempo stesso un incontro con le proprie radici epistemologiche e un’apertura verso possibilità di ricerche future, stimolate da spunti a volte frammentari, ma capaci sempre di sbalzare l’attenzione verso l’irriducibile freschezza e novità dell’ovvio. “Verso una cosmologia” è un testo pubblicato per la prima volta nel 1936 e ora disponibile in Italia grazie all’edizione della Biblioteca Einaudi e all’introduzione di Eugenio Borgna. E’ il libro che chiude la trilogia di Minkowski dopo “La schizofrenia” e “Il tempo vissuto”, ed è uno studio sulla percezione e più precisamente sul sentire, declinato nelle sue varie modalità sensoriali. 

L’autore, uno dei primi e più raffinati studiosi che traccia l’incontro fra fenomenologia e psicopatologia, ci offre, attraverso un linguaggio poetico dalle inattese aperture, un testo esemplare e vivo che ci consente di avvicinare l’esperienza della ‘posizione’ fenomenologica e di attraversarla “in vivo”. Un libro, afferma Borgna nella sua introduzione, “così attuale e così prodigiosamente vicino ai grandi problemi della condizione umana che, ieri come oggi, non può essere colta nei suoi abissi di significato psicologici e psicopatologici se non con un linguaggio estraneo a ogni gergalità e ad ogni riduzionismo terminologico”.

Oltre ad essere un esempio attualissimo di fenomenologia viva, il testo offre alcuni spunti illuminanti di confronto con la posizione psicoanalitica, come ad esempio la critica alla visione del lavoro artistico, indebitamente ridotto, secondo l’autore, all’espressione sublimante di un conflitto affettivo che non dà ragione dello slancio creativo, il quale trae forza da ben altre inquietudini e ricerche. Questo slancio creativo non proviene infatti da un conflitto affettivo intrapsichico, ma da quello che Minkowski chiama conflitto “antropo-cosmico”, un conflitto, cioè, che si tende fra le forze irrimediabilmente contrapposte fra individuo e ambiente, fra uomo e cosmo. Come non ritrovare assonanze significative con il concetto gestaltico di adattamento creativo, ricerca di una sintesi tutt’altro che intrapsichica che si srotola sulla linea di confine in cui l’ambiente e l’organismo si incontrano e con-finiscono?

G.F.
 

 

Giacomo Rizzolatti, Corrado Sinigaglia


So quel che fai
Il cervello che agisce e i neuroni specchio

R. Cortina, 2006, Euro 21


La scoperta dei neuroni mirror, avvenuta a metà degli anni ’90 ad opera di Giacomo Rizzolatti e collaboratori dell’Università di Parma, ha aperto nuove e rivoluzionarie prospettive di ricerca nell’ambito delle neuroscienze, con conseguenze che stanno attraversando ambiti disciplinari diversi come la psicologia, la pedagogia, la sociologia, l’antropologia, la linguistica.

I mirror costituiscono una popolazione neuronale che presenta un funzionamento davvero eccezionale: essi si attivano non solo quando il soggetto compie un’azione, ma anche quando vede un altro compierla oppure avere l’intenzione di compierla. Inoltre, il sistema mirror si attiva allo stesso modo quando il soggetto prova un’emozione e quando vede un altro provarla.

Questo libro, scritto da Rizzolatti (Direttore del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Parma) e da Sinigaglia (che insegna Filosofia della Scienza all’Università di Milano), ha il merito di presentare con chiarezza i risultati di queste ricerche e di evidenziarne le implicazioni cognitive, comunicative e, in un certo senso, relazionali.

Per noi gestaltisti è particolarmetene interessante trovare la corrispondenza con alcune nostre linee epistemologiche di fondo. Alcuni esempi: c’è una comprensione che non è cognitiva, ma immediatamente presente nell’azione (“il cervello che agisce è anche e anzitutto un cervello che comprende”, pag 3); la realtà non è indifferente o neutra, ma già eccitante e intenzionata (“…la tazzina funge da polo d’atto virtuale (…) la vista della tazzina non sarebbe che una forma preliminare d’azione, una sorta di appello ad agire che (…) la caratterizza come qualcosa da prendere per il manico, con due dita, ecc., identificandola così in funzione delle possibilità motorie che essa racchiude”, pag. 47-48); l’individuo/organismo separato dal suo ambiente/contesto è un’astrazione (“Ciò mostra quanto radicato e profondo sia il legame che ci unisce agli altri, ovvero quanto bizzarro sia concepire un io senza un noi”, pag 4).

Inoltre è sorprendente trovare nel testo autori a noi molto familiari e persino costitutivi delle nostre radici (G.H. Mead, W. James, M. Merleau-Ponty) che vengono citati e valorizzati per aver fornito ante-litteram alcune delle più precise descrizioni fenomenologiche dell’esperienza intersoggettiva, oggi ampiamente confermate da queste scoperte. A questo proposito viene citato anche Daniel Stern (il quale nei suoi lavori cita a sua volta ampiamente queste ricerche) in quanto il sistema dei mirror sarebbe alla base dell’intersoggettività, quell’esperienza di reciprocità (“io so che tu sai che io so…”) che costituisce la matrice fondamentale delle interazioni umane.

Un libro, dunque, che offre un accessibile aggiornamento su queste ricerche e conferma la validità delle straordinarie intuizioni teoriche dei nostri fondatori attraverso un differente linguaggio e in un ambito di indagine attiguo alla nostra quotidiana esperienza clinica.

G.F.
 

 

James W. Barron (a cura di)


Dare un senso alla diagnosi
R. Cortina, 2005, Euro 35


Il DSM, nelle varie edizioni che si sono susseguite dalla sua prima stesura nel 1951, è diventato il riferimento principale per quanto riguarda la classificazione e la diagnosi dei cosiddetti “disturbi mentali”. Si tratta di uno strumento discusso e controverso sia da parte dei ricercatori che, ancor di più, dei clinici.

Il libro raccoglie i contributi di vari autori (ricercatori, psichiatri, psicoanalisti, terapeuti della famiglia) che discutono e criticano i principi, le basi, le procedure del manuale cercando di metterne in luce i limiti e i vantaggi. L’utilità e la validità del “sistema DSM” è sottoposta al vaglio critico dei vari autori, alcuni dei quali si collocano a favore di un approccio diagnostico che tenga più conto della soggettività del paziente, del continuum dell’esperienza, della storia evolutiva, delle relazioni interpersonali e persino del vissuto controtransferale del terapeuta. Questa critica, anche se presenta punti di vista sistemici e che sostengono un approccio dimensionale e complesso, origina per lo più da una prospettiva teorica psicodinamica e psicoanalitica.

Il merito del testo è di offrire al lettore questo vivace dibattito dando l’occasione di approfondire criticamente i vari aspetti problematici della classificazione del DSM, prospettiva utile proprio laddove una distanza a priori rischia di essere preconcetta e poco argomentata, se non anche ideologica.

Al di là dell’utilità o della validità del DSM, resta l’importanza di riflettere sulla complessità dei temi legati alla diagnosi e alla psicopatologia: anche noi gestaltisti, che siamo stati capaci di evidenziare più di altri le trappole e i paradossi dell’astrazione diagnostica e della classificazione nomotetica, non possiamo eludere questo dibattito, se non altro per collocarci dialetticamente rispetto ad esso.

G.F.

 

 

 

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