RECENSIONI
Giacomo Rizzolatti, Corrado
Sinigaglia
So quel che fai
Il cervello che agisce e i neuroni specchio
Raffaello Cortina editore
Milano, 2006, Euro 21
La scoperta dei neuroni mirror, avvenuta a metà degli anni ’90 ad
opera di Giacomo Rizzolatti e collaboratori dell’Università di
Parma, ha aperto nuove e rivoluzionarie prospettive di ricerca
nell’ambito delle neuroscienze, con conseguenze che stanno
attraversando ambiti disciplinari diversi come la psicologia, la
pedagogia, la sociologia, l’antropologia, la linguistica.
I mirror costituiscono una
popolazione neuronale che presenta un funzionamento davvero
eccezionale: essi si attivano non solo quando il soggetto compie
un’azione, ma anche quando vede un altro compierla oppure avere
l’intenzione di compierla. Inoltre, il sistema mirror si attiva allo
stesso modo quando il soggetto prova un’emozione e quando vede un
altro provarla.
Questo libro, scritto da Rizzolatti
(Direttore del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di
Parma) e da Sinigaglia (che insegna Filosofia della Scienza
all’Università di Milano), ha il merito di presentare con chiarezza
i risultati di queste ricerche e di evidenziarne le implicazioni
cognitive, comunicative e, in un certo senso, relazionali.
Per noi gestaltisti è
particolarmetene interessante trovare la corrispondenza con alcune
nostre linee epistemologiche di fondo. Alcuni esempi: c’è una
comprensione che non è cognitiva, ma immediatamente presente
nell’azione (“il cervello che agisce è anche e anzitutto un cervello
che comprende”, pag 3); la realtà non è indifferente o neutra, ma
già eccitante e intenzionata (“…la tazzina funge da polo d’atto
virtuale (…) la vista della tazzina non sarebbe che una forma
preliminare d’azione, una sorta di appello ad agire che (…) la
caratterizza come qualcosa da prendere per il manico, con due dita,
ecc., identificandola così in funzione delle possibilità motorie che
essa racchiude”, pag. 47-48); l’individuo/organismo separato dal suo
ambiente/contesto è un’astrazione (“Ciò mostra quanto radicato e
profondo sia il legame che ci unisce agli altri, ovvero quanto
bizzarro sia concepire un io senza un noi”, pag 4).
Inoltre è sorprendente trovare nel
testo autori a noi molto familiari e persino costitutivi delle
nostre radici (G.H. Mead, W. James, M. Merleau-Ponty) che vengono
citati e valorizzati per aver fornito ante-litteram alcune delle più
precise descrizioni fenomenologiche dell’esperienza intersoggettiva,
oggi ampiamente confermate da queste scoperte. A questo proposito
viene citato anche Daniel Stern (il quale nei suoi lavori cita a sua
volta ampiamente queste ricerche) in quanto il sistema dei mirror
sarebbe alla base dell’intersoggettività, quell’esperienza di
reciprocità (“io so che tu sai che io so…”) che costituisce la
matrice fondamentale delle interazioni umane.
Un libro, dunque, che offre un
accessibile aggiornamento su queste ricerche e conferma la validità
delle straordinarie intuizioni teoriche dei nostri fondatori
attraverso un differente linguaggio e in un ambito di indagine
attiguo alla nostra quotidiana esperienza clinica.
Gianni Francesetti
Istituto di Gestalt HCC
Giovanni Stanghellini
Psicopatologia del senso comune
Raffaello Cortina editore
Milano, 2006 - euro 22
Questo libro di Giovanni
Stanghellini propone una lettura inedita e molto interessante della
psicopatologia della schizofrenia e della psicosi maniaco-depressiva
a partire da una dichiarata e feconda contaminazione fra sapere
filosofico e sapere psicopatologico. Ma il lavoro è anche
attentamente sostenuto dall’integrazione dei recenti sviluppi delle
neuroscienze, dell’infant research e della psicoterapia.
Lo studio, di
taglio chiaramente fenomenologico, prende le mosse da una
rivisitazione critica ed accurata delle prospettive psicopatologiche
sulla psicosi nella storia della psichiatria. La traccia seguita
dall’autore, e in linea con la tradizione della psichiatria
fenomenologia, è che la psicosi sia lo scacco del soggetto come
essere sociale. L’analisi di questo “essere sociale” portata avanti
nel testo mette in relazione, in particolare, il concetto di senso
comune, koine aisthesis, di Aristotele con il funzionamento dei
neuroni mirror e con la prospettiva dell’intersogettività di Stern.
Il senso comune che l’autore identifica come fondamento del
poter-essere-sociali (e quindi non psicotici) è una percezione
diretta, pre-cognitiva, corporea e incarnata dell’altro e di sé
sulla quale si basa la sintonizzazione reciproca e ogni possibilità
comunicativa. E’ questo “senso comune” che risulta essere
profondamente disturbato nell’esperienza psicotica schizofrenica e
maniaco depressiva. Il libro tratta del vissuto soggettivo di queste
due esperienze psicotiche mettendone in luce le specificità e le
differenze: “le persone vulnerabili alle schizofrenie sono
debolmente ancorate al senso comune, mentre quelle vulnerabili alle
psicosi maniaco-depressive sono pesantemente incagliate ad esso”.
Si tratta di un incrocio di
prospettive con il quale è estremamente interessante confrontare e
situare la nostra prospettiva gestaltica: il dialogo con queste
linee di riflessione e ricerca non può che confermare e rafforzare
la nostra definizione teorica e la nostra phronesis clinica. La
linea di ricerca che Stanghellini ci propone nel suo libro può dare
un significativo sostegno al nostro sforzo di mantenere il discorso
psicopatologico sempre sul filo della relazione e
dell’intersoggettività cercando di evitare di considerare il
malessere come un attributo dell’individuo, ma rimandandolo sempre
alla relazione. Sforzo difficilissimo per i limiti stessi del nostro
linguaggio cartesiano e sempre in bilico perché la semplificazione
indotta dalla prospettiva individuale e intrapsichica ci attrae e
nello stesso tempo ci sottrae dal gioco angosciante e paradossale
del sintonizzarci con l’in-sintonizzabile.
Gianni Francesetti
Istituto di Gestalt HCC
Eugène Minkowski
Verso una cosmologia
Frammenti filosofici
Introduzione di Eugenio
Borgna
Einaudi, 2006, Euro 22
La lettura di questo libro per un
terapeuta della Gestalt è al tempo stesso un incontro con le proprie
radici epistemologiche e un’apertura verso possibilità di ricerche
future, stimolate da spunti a volte frammentari, ma capaci sempre di
sbalzare l’attenzione verso l’irriducibile freschezza e novità
dell’ovvio. “Verso una cosmologia” è un testo pubblicato per la
prima volta nel 1936 e ora disponibile in Italia grazie all’edizione
della Biblioteca Einaudi e all’introduzione di Eugenio Borgna. E’ il
libro che chiude la trilogia di Minkowski dopo “La schizofrenia” e
“Il tempo vissuto”, ed è uno studio sulla percezione e più
precisamente sul sentire, declinato nelle sue varie modalità
sensoriali.
L’autore, uno dei primi e più
raffinati studiosi che traccia l’incontro fra fenomenologia e
psicopatologia, ci offre, attraverso un linguaggio poetico dalle
inattese aperture, un testo esemplare e vivo che ci consente di
avvicinare l’esperienza della ‘posizione’ fenomenologica e di
attraversarla “in vivo”. Un libro, afferma Borgna nella sua
introduzione, “così attuale e così prodigiosamente vicino ai grandi
problemi della condizione umana che, ieri come oggi, non può essere
colta nei suoi abissi di significato psicologici e psicopatologici
se non con un linguaggio estraneo a ogni gergalità e ad ogni
riduzionismo terminologico”.
Oltre ad essere un esempio
attualissimo di fenomenologia viva, il testo offre alcuni spunti
illuminanti di confronto con la posizione psicoanalitica, come ad
esempio la critica alla visione del lavoro artistico, indebitamente
ridotto, secondo l’autore, all’espressione sublimante di un
conflitto affettivo che non dà ragione dello slancio creativo, il
quale trae forza da ben altre inquietudini e ricerche. Questo
slancio creativo non proviene infatti da un conflitto affettivo
intrapsichico, ma da quello che Minkowski chiama conflitto “antropo-cosmico”,
un conflitto, cioè, che si tende fra le forze irrimediabilmente
contrapposte fra individuo e ambiente, fra uomo e cosmo. Come non
ritrovare assonanze significative con il concetto gestaltico di
adattamento creativo, ricerca di una sintesi tutt’altro che
intrapsichica che si srotola sulla linea di confine in cui
l’ambiente e l’organismo si incontrano e con-finiscono?
Gianni Francesetti
Istituto di Gestalt HCC
James W. Barron (a cura di)
Dare un senso alla diagnosi
Raffaello Cortina editore
Milano, 2005, Euro 35
Il DSM, nelle varie edizioni
che si sono susseguite dalla sua prima stesura nel 1951, è diventato
il riferimento principale per quanto riguarda la classificazione e
la diagnosi dei cosiddetti “disturbi mentali”. Si tratta di uno
strumento discusso e controverso sia da parte dei ricercatori che,
ancor di più, dei clinici.
Il libro raccoglie i contributi di
vari autori (ricercatori, psichiatri, psicoanalisti, terapeuti della
famiglia) che discutono e criticano i principi, le basi, le
procedure del manuale cercando di metterne in luce i limiti e i
vantaggi. L’utilità e la validità del “sistema DSM” è sottoposta al
vaglio critico dei vari autori, alcuni dei quali si collocano a
favore di un approccio diagnostico che tenga più conto della
soggettività del paziente, del continuum dell’esperienza, della
storia evolutiva, delle relazioni interpersonali e persino del
vissuto controtransferale del terapeuta. Questa critica, anche se
presenta punti di vista sistemici e che sostengono un approccio
dimensionale e complesso, origina per lo più da una prospettiva
teorica psicodinamica e psicoanalitica.
Il merito del testo è di offrire al
lettore questo vivace dibattito dando l’occasione di approfondire
criticamente i vari aspetti problematici della classificazione del
DSM, prospettiva utile proprio laddove una distanza a priori rischia
di essere preconcetta e poco argomentata, se non anche ideologica.
Al di là dell’utilità o della validità del DSM, resta l’importanza
di riflettere sulla complessità dei temi legati alla diagnosi e alla
psicopatologia: anche noi gestaltisti, che siamo stati capaci di
evidenziare più di altri le trappole e i paradossi dell’astrazione
diagnostica e della classificazione nomotetica, non possiamo eludere
questo dibattito, se non altro per collocarci dialetticamente
rispetto ad esso.
Gianni Francesetti
Istituto di Gestalt HCC
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