S.I.P.G. Società Italiana Psicoterapia Gestalt

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RECENSIONI

 

 

Pietro A. Cavalieri


Vivere con l’altro

Per una cultura della relazione
Città Nuova  2007, Euro 14

 

 Promuovere la cultura della relazione nella nostra società complessa e caratterizzata da relazioni instabili, poco chiare e “liquide”, appare il nodo centrale di questo testo.

Ai solidi legami di un tempo che tenevano insieme  le  coppie, le  famiglie, la Comunità si sono sostituiti i legami liquidi della società globalizzata, un mare di incertezza, anche relazionale in cui siamo costretti a navigare a vista senza impegni duraturi.

La paura di “consegnarsi” realmente e definitivamente all’altro nella coppia o nella vita di famiglia coglie l’essere umano che fugge “scegliendo l’esilio da ogni obbligo o responsabilità di natura relazionale”; è come se avessimo disimparato a vivere con l’Altro.

Posto che sembrano venir meno le competenze relazionali , cioè l’ascolto , la capacità di mettersi nei panni degli altri, la disponibilità alla condivisione, la solidarietà, l’Autore afferma con forza e passione  la centralità del “bene relazionale” quale esperienza di essere “riconosciuti” e di “riconoscersi”; tale bene pur essendo immateriale e  non visibile,  rappresenta “la risorsa più vitale e inestimabile per la propria crescita personale”.

In tale prospettiva, nella prima parte del libro, viene posta in rilievo la necessità di un’alfabetizzazione relazionale, una sorta di  “grammatica per vivere con l’Altro”, le cui proposizioni principali vengono individuate nell’ essere consapevoli delle proprie e delle altrui emozioni e nell’essere in grado di leggere la propria e altrui intenzionalità; nell’esprimere azioni congruenti; nel promuovere e sostenere relazioni di reciprocità; nel saper decodificare e gestire i conflitti; nel  riconoscere i tempi della relazione.  

Nella seconda parte del testo, dopo aver dato spazio, attraverso un approccio interdisciplinare, a una riflessione di ampio respiro sul tema della relazione in ambito antropologico, filosofico, religioso, l’Autore si sofferma sulle tematiche relative alla relazione con l’altro nella psicologia contemporanea; di particolare interesse il riferimento alle ricerche riguardanti le  elaborazioni  sull’Altro come “regolatore” e “organizzatore” del Sé; sulla relazione intersoggettiva e la dimensione della reciprocità; sulla relazione con l’Altro nella nascita e nello sviluppo della vita mentale.

Dalla lettura del testo si coglie la sensibilità gestaltica  dell’Autore che è riuscito a conciliare la leggerezza del tono divulgativo del volume con la profondità e la consistenza dell’argomento trattato.

 

Francesca Assunta Tolentino

Istituto di Gestalt HCC

 

 

Giovanni Salonia

odòs – Lla via della vita genesi e guarigione dei legami fraterni

EDB, Bologna 2007

 

“Essere cristiani non significa avere una chiave di lettura più adeguata di altre, che sottragga lo scienziato o, nel nostro caso, lo psicologo credente, alla fatica e al rischio della storicità radicale in cui siamo immersi. Dobbiamo cercare, dobbiamo tentare di capire, con umiltà, perché il vangelo non è un sapere, non è una rivelazione metafisica che fissi una volta per tutte i limiti e i significati dell’esistenza, bensì il dono di una relazione vitale, che illumina e sostiene chi la vive, che accade e si dà nella storia e non al di fuori di essa.”

Queste parole, tratte dal prologo di Odòs, ci permettono di entrare in questo libro sapiente e intimo, denso di contenuti, riferimenti e citazioni. Sono parole che aprono possibili intersezioni fra i percorsi di noi lettori e quelli dell’autore.

E’ un libro calato nel particolare – un’esperienza religiosa e un modo di esplorarla, con il sostegno di una vasta sapienza umana e umanistica - eppure universale. Perché universale? Perché esplorare “fino in fondo” la relazionalità nel proprio orizzonte etico e spirituale di riferimento ha una valenza universale; ma anche perché le tematiche e gli interrogativi cristiani sono universali, anche se universali potrebbero non essere le risposte. Universali sono anche le domande e i temi delle discipline umanistiche, della psicoterapia, pur nella loro collocazione in tempi, luoghi e contesti specifici. “Un libro al confine fra fede e psicoterapia” viene definito nella quarta di copertina. Troviamo quindi, nel testo, tutta la ricchezza, le potenzialità, le scoperte dello stare al confine fra esperienze e saperi così articolati.

Il testo è diviso in tre parti, che hanno un filo conduttore comune, ma anche una certa autonomia fra di loro.

Dopo un’introduzione su rapporti, intersezioni, debiti e incomprensioni reciproche fra scienze umane e fede (e più specificamente fra psicoterapia e cristianesimo), nella prima parte vengono presentati, con un approccio ermeneutico denso, contemporaneamente rigoroso e personale, i fondamenti dei testi biblici, come chiave della relazionalità e della vita.

Nella seconda parte questi fondamenti diventano esperienza viva attraverso il percorso e la vita di San Francesco d’Assisi e della fraternità da lui fondata.

Nella terza parte l’esperienza si allarga, soprattutto attraverso una focalizzazione sulla vita consacrata, all’esistenza cristiana, ma anche, in parte, all’esistenza di ognuno.

L’insieme è una sequenza, una progressiva “incarnazione” di temi spirituali e umanistici, delle tematiche relazionali, che comprendono in sé gli inizi, la vita e la morte.

Ma è difficile fissare uno schema: si tratta di un testo così ricco, da essere difficilmente definibile, circoscrivibile. E’ contemporaneamente il risultato di teorie, esperienze, riflessioni, ed è anche il percorso che ha portato a tale risultato. Leggerlo significa davvero entrare in un cammino, percorrere strade: ogni capitolo, ogni frase, ogni parola è una figura che lascia intravedere mille sfondi. Esperienza, conoscenze teoriche, sfondi relazionali e figure sapienziali sono intersecati e vengono restituiti ai lettori in tutta la loro complessità, ma, anche, in un linguaggio semplice e diretto. E i lettori possono trasformare tutto questo in orientamento, nel senso che sostiene ed è insito in ogni intenzionalità relazionale.

“(…) la ricerca dell’autore parte dall’assunto che la fraternità porta con sé un dramma, un sentirsi traditi e messi da parte: come fu per Caino e Abele, l’esistenza del fratello ricorda all’uomo che non è figlio unico.” (dalla quarta di copertina)

Centrale è l’origine. Non possiamo non chiederci da dove veniamo: non si tratta delle distinzioni fra laici e credenti, fra esperienze e percorsi di fede diverse.

“La struttura delle relazioni di base della condizione umana si articola infatti in una triade: maschio/femmina, genitori/figli, fratelli/sorelle. (…) Questi tre legami, di cui è composta la struttura di fondo dell’affettività umana, sono biblicamente inseriti all’interno di un altro rapporto che a essi dà forma e significato: il rapporto con l’inizio (sia esso chiamato YHWH o Vita). Di fronte alla constatazione inevitabile che il principio non gli appartiene (e che non potrà mai darselo da solo), l’uomo è costretto a decidere circa la qualità e il senso della propria creaturalità.” (dal testo)

Non è un libro rivolto solo a lettori cristiani; non è un testo diretto in modo esclusivo a chi ha fede. Perché la laicità non è certo una scorciatoia, non significa non interrogarsi, non collocarsi nel mondo: è una responsabilità sul proprio essere uomini, sul proprio essere gettati nel mondo e inseriti in una molteplice relazionalità. Nel mistero dell’origine, nell’alterità della nostra origine, nella creaturalità, è inscritta la relazionalità stessa.

E’ un libro che ci accosta al mistero dell’uomo, di ogni uomo e donna nella sua specificità, unicità e diversità.

Sono parole che nutrono e che lasciano intravedere sfondi, percorsi, attuati e possibili. Per questo il testo, pur essendo accessibile a un pubblico più vasto, è, prima di tutto, un appello a formatori, educatori, psicoterapeuti, religiosi, a chiunque senta e viva la responsabilità verso l’”altro”. A sua volta il lettore può porgere ad altri parole e contenuto del testo, come ha fatto, per primo, l’autore.

Il mistero dell’origine non ci appartiene: se dimentichiamo questo, se dimentichiamo la parità e la creaturalità originaria, non sappiamo vivere nella polis.

 “In questo quadro, anche il potere viene risignificato. Quando l’uomo non accetta il rimando a un’origine da cui deriva una comune appartenenza, imbocca la strada di farsi dio contro il fratello (per dominarlo e vincere su di lui) o sceglie di fare del fratello un dio, diventandone schiavo e rinunciando  alla propria dignità, alla propria libertà (qua nota): il potere sull’altro come delirio di divinità o come sottile manipolazione.” (dal testo)

Nella seconda parte del testo vengono presentate ulteriori sfide: i fondamenti della vita e della relazione vengono rivisti nella difficile esperienza della fraternità, attraverso i pensieri, gli atti, le scelte di Francesco d’Assisi. Sono capitoli, forse, meno diretti rispetto ai primi. Per coglierne appieno i contenuti è necessario un cambio di prospettiva, uno sforzo nel cogliere la diversità: la specificità di un percorso e di un’esistenza. Solo dopo questo movimento si può, nuovamente, cogliere la valenza più ampia del testo.

“Nella fraternità (…) nessuno è definito “padre”. La vita tra fratelli colloca chi vi partecipa in una parità costitutiva, che è rispetto della diversità.” (dal testo)

Dalla distinzione fra fraternità e comunità si dipana una trama in cui, accostandoci alla figura, al percorso, alle scelte di Francesco d’Assisi, entriamo nell’esperienza della diversità vera, quella che si può conoscere e accettare solo attraverso un travaglio; entriamo nel rapporto fra responsabilità e accettazione della libertà dell’altro, della parità costitutiva dell’altro. Emblematico è il titolo di un paragrafo: “Tra fondatore e fratello: un conflitto da non risolvere.”

Si tratta della lacerazione insita nell’avere fede: nella relazionalità, nell’intenzionalità relazionale, nell’essere, prima di tutto, creatura fra le creature. Una fede che porta a fare e a costruire, accettando di non essere padroni del risultato del proprio fare e della direzione ultima del proprio movimento. Una fede che è aprirsi, anche con sofferenza, alla diversità dell’altro, senza perdere la responsabilità verso quello che si è fatto e si continua a fare, e a essere.

La terza parte del testo compie un ulteriore passo verso la concretezza dell’esistenza cristiana e quindi di ogni esistenza: esistere, attraversare i misteri delle origini, della vita e della morte, implica sempre una direzione e un senso, o, più esattamente, lo sforzo di non smarrire la direzione e il senso, e, quindi, le origini.

Anche in questo caso sono emblematici i titoli di due capitoli: “L’esistenza come formazione”, “Prendersi cura della fraternità (e del fratello) nel tempo della soggettività”. Sono titoli, ma anche progetti, strade, tracce.

“Il mondo di oggi non ha bisogno di maestri, ma di compagni di viaggio. Riesce ad ascoltare solo i fratelli.” (dal testo)

 

Michela Gecele

Istituto di Gestalt HCC

 

 

 

Vanna Ioriv

NEI SENTIERI DELL’ESISTERE SPAZIO, TEMPO, CORPO, NEI PROCESSI FORMATIVI

Erickson, Trento 2006; pp 221,

18,50

 

 

 

In questo interessante testo, l’autrice Vanna Iori esplora i processi formativi secondo l’orientamento di una pedagogia fenomenologico–esistenziale.

Nella prima parte vengono elaborati i concetti fondanti di una pedagogia con tale orientamento: progetto formativo inteso come progettazione esistenziale condivisa dai due poli dell’interazione educativa (con-essere educativo), che è aperta al nuovo e si alimenta dell’esperienza passata; assunzione di dignità scientifica alla soggettività della persona, in termini di libertà, autenticità e responsabilità; valore dei vissuti e dell’empatia nel campo educativo, empatia che ha la capacità di perseguire un significato per l’esistenza umana, ed in particolare per l’agire educativo (o “cura educativa”). A questo riguardo, vogliamo sottolineare l’acuta definizione di empatia, ricordata dall’autrice, o meglio (come lei dice) di “entropatia”: “…conoscere i vissuti esperienziali altrui, presenti in me attraverso il rapporto con l’altro, nel mondo dell’esistenza comune. (….). Empatizzare significa stare in prossimità dell’altro (….), prossimità nella distinzione (….)”. (pp 41,42).

Vanna Iori, inoltre esplicita l’importanza, da parte di chi agisce in termini di cura educativa, di possedere abilità relazionale e capacità di accoglienza della dimensione affettiva e corporea, per aiutare gli altri ad elaborare i propri sentimenti, come chiavi di lettura dell’esperienza , per poter “sentire” l’alterità e la sua vicinanza.

Nella seconda parte del testo, l’autrice ci introduce ai tre temi “linee di fuga” per uno sguardo educativo d’impronta fenomenologico-esistenziale: lo spazio-vissuto, come spazio educativo, sia in termini di spazio interiore che di spazio-territorio (la casa, la terra…); la temporalità, come costitutiva di ogni esperienza di formazione, (tessuto temporale declinantesi in tempo della memoria, tempo dell’”experiri” e tempo del pro-getto); il corpo-vissuto, corpo come prima effettività dell’esistenza, soggetto-corpo maschile o femminile che, nel suo vissuto d’esperienza, incontra altri corpi con i quali crescere, attraversando le varie tappe del ciclo di vita.

Questo testo può sicuramente arricchire il “ground” di uno psicoterapeuta della Gestalt interessato alla relazione educativa (e non solo). Esso, infatti, fornisce un linguaggio rigoroso dal punto di vista fonomenologico-esistenziale, contestualizzando con chiarezza molti concetti cari ad un gestaltista: intenzionalità, sguardo fenomenologico, progettazione esistenziale, spazio-tempo vissuti che si manifestano nella corporeità vissuta, orizzonte di senso, responsabilità….

Nello stesso tempo, come psicoterapeuti della Gestalt, possiamo cogliere il frutto di una “prossimità nella distinzione”. Infatti, sia per questa autrice che per la PdG, l’evento educativo è visto come una relazione, un rapporto di reciprocità, colto “in situazione”, ma la qualità dello sguardo della Iori e di quello della PdG è un po’ diversa. La prima è paragonabile ad una visione grandangolare, che ha grande respiro ma può perdere in intensità; la seconda è più simile alla visione data da un obiettivo ad alta definizione, che coglie pienamente, ed in un solo colpo d’occhio, l’attimo, ma può rischiare di slacciarlo dal suo sfondo.

In conclusione, la lettura di questo testo può contribuire ad arricchire lo sfondo di uno psicoterapeuta della Gestalt, a sostegno nella notevole capacità di integrazione e “coagulazione” di esperienze che il suo modello gli permette.

 

 

Maria Mione

Istituto di Gestalt H.C.C. Sede di Venezia

 

 

 

ANTONIO DAMASIO

EMOZIONE E COSCIENZA

Ed. Adelphi, marzo 2005

 €30,00

 

Titolo originale: “The Feeling of  What Happens – Body and Emotion in the Making of Consciousness”, 1999

 

Neuroscienziato e ricercatore di fama, Damasio si rammarica profondamente che le geniali intuizioni di Charles Darwin e di William James sulla funzione evolutiva/adattiva e sulla origine percettivo/corporea delle emozioni siano rimaste a lungo abbandonate ed inesplorate dalla ricerca, e dedica il suo lavoro alla costruzione di ponti fra sperimentazione ed esperienza,  ragione ed emozione, mente e corpo, organismo e ambiente (dolorose scissioni che Goodman definì a suo tempo "nevrotiche").  Dall’altra parte del ponte, i terapeuti della Gestalt hanno a loro volta un gran bisogno – per sfuggire dalla trappola del narcisismo delle avanguardie - di confrontare le originali intuizioni di Perls e Goodman e la propria pratica clinica sia con le altre psicoterapie che con i dati che emergono dal campo condivisibile delle neuroscienze e dell’enfant research. E Damasio parla, per nostra fortuna, un linguaggio comprensibile e familiare, oltre che rigoroso: emozione e coscienza, sé, processo, funzione, organismo, ambiente, omeostasi, creatività ...

Come già per Perls fin dai tempi di “L’Io, la fame e l’aggressività”, la mente per Damasio è una funzione organismica, filogeneticamente tardiva, apparsa ai fini della sopravvivenza individuale e della specie in organismi/ambienti complessi. Essa consiste nella capacità – resa possibile dall’evolversi strepitoso del Sistema Nervoso Centrale - di rappresentare “per immagini” sia l’ambiente esterno che l’ambiente corporeo, fra loro in interazione reciproca, e di elaborare tali stati ed interazioni in mappe dinamiche, causali e predittive, come basi di una autoregolazione metabolica e comportamentale (nell'animale-uomo anche consapevole e creativa), che si concretizza, per psicologia e psicoterapia della Gestalt, nel processo figura-sfondo.

Le emozioni (“la saggezza del corpo” secondo Perls e Goodman) sono per Damasio le risposte complesse e immediate dell’organismo - neurali, metaboliche, cognitive e comportamentali -  attivate in specifiche zone del SNC ad opera delle “immagini” di oggetti/soggetti/situazioni esterne innate o ad esse collegate attraverso l’esperienza.

Allorché le emozioni – in quanto variazioni corporee (umorali, viscerali, muscolo-scheletriche) e cognitive (focalizzazione, attenzione, accelerazione della produzione di immagini ..) - sono rappresentate in alcune mappe neurali del secondo ordine insieme e contemporaneamente alle immagini degli stimoli ambientali (visive, uditive, tattili …) che le hanno indotte, si originano i sentimenti, la percezione delle emozioni dell’organismo in interazione con l’ambiente (con funzione di retroazione positiva, in grado di accentuare rapidità, intensità ed efficacia della stessa reazione emotiva).

Il sentimento dei sentimenti, prodotto dal vario collegarsi delle precedenti mappe neurali del secondo ordine, è il “senso di sé nell'atto di conoscere” o “coscienza nucleare”, la consapevolezza di  avere percezioni, emozioni ed azione nel qui ed ora rispetto ai soggetti/oggetti dell’ambiente.

La coscienza nucleare rappresenta – secondo Damasio – solo il primo livello di coscienza che "fornisce l'organismo di un senso di sé in un dato momento -ora- e in un dato luogo-qui-. Il raggio della coscienza nucleare è il qui ed ora. La coscienza nucleare non illumina il futuro e l'unico passato che ci lascia vagamente intravedere è quello trascorso un istante fa. Non esiste un altrove, non esiste un prima, non esiste un dopo... è stabile in tutto l'arco di vita dell'organismo…“. 

Questa consapevolezza istantanea, questo senso di sé in interazione qui ed ora con l’ambiente, consente all’organismo di creare mappe e schemi organismo/ambiente colorati di piacere e dolore, di apprendere dall’esperienza, di aumentare le conoscenze e capacità nelle situazioni affini e arricchire il campo attuale di valenze positive e negative che guidino il movimento in esso. Dalla coscienza e dal sé nucleare emergono il senso di sé dell’esperienza comune con tutte le sue potenzialità : la coscienza estesa ed il sé autobiografico.

 

Citando a questo proposito Damasio : “in ogni momento molti di questi ricordi impliciti possono essere resi espliciti simultaneamente. La loro attivazione in forma di immagini costituisce lo sfondo di ogni momento di una vita mentale sana ... Questo è il materiale che usiamo quando descriviamo la nostra personalità o le particolari caratteristiche del modo di essere di un'altra persona.... Il super senso della coscienza estesa alla fine porta alla luce un essere fatto e finito. Nella coscienza estesa, sia il passato sia il futuro previsto vengono percepiti insieme al qui ed ora in un'ampia visione che abbraccia tutto l'orizzonte, come in un romanzo epico. ... i livelli di conoscenza che consentono la creatività umana sono quelli che soltanto la coscienza estesa permette…”.

 

Presente pieno di passato e di futuro, comportamenti qui ed ora influenzati dagli schemi interattivi appresi e dalle conseguenti aspettative, ma anche capacità di organizzare creativamente la situazione attuale ed i propri comportamenti tenendo conto delle sue originali specificità, comprensioni istantanee (insight) ma anche tempo per un’aumentata consapevolezza e ragionamento, al fine di creare interazioni virtuali prima ancora che azioni concrete, sulle quali il giudizio ultimo – in termini di valori, sopravvivenza, gratificazione - torna nuovamente all’emozione ed al sentimento. Con le parole di Goodman " il corpo è pieno di una saggezza ereditata... nelle sue emozioni possiede una sorta di conoscenza dell'ambiente nonché delle motivazioni per l'azione ... Le emozioni sono un mezzo di cognizione. Lungi da costituire degli ostacoli al pensiero, essi sono le espressioni uniche dello stato del campo organismo-ambiente... In quanto cognizione sono fallibili, ma correggibili, non respingendole ma cercando di vedere se possono svilupparsi nei sentimenti più stabili che accompagnano l'orientamento deliberato …". In questo senso  Goodman intendeva che la psicoterapia è "educazione delle emozioni", il continuo recuperare, valorizzare  e superare l’esperienza vissuta trascorsa e i limiti della personalità  e della cultura stessa.

 

Confrontiamo questo passo con le parole di Damasio: " Le emozioni ben dirette e ben dispiegate paiono essere un sistema di appoggio senza il quale l'intero edificio della ragione non può operare a dovere ...  negli organismi dotati di coscienza, cioè in grado di sapere di avere sentimenti, si raggiunge un altro livello di regolazione. La coscienza fa sì che i sentimenti vengano conosciuti e quindi favorisce l'effetto delle emozioni all'interno, fa sì che l'emozione pervada il processo mentale per il tramite del sentimento... in tal modo la coscienza accresce la capacità dell'organismo di reagire in maniera adattiva, attenta alle esigenze dell'organismo in questione. L'emozione è dedicata alla sopravvivenza di un organismo e così anche la coscienza... Quando si dispone della coscienza, i sentimenti producono il massimo effetto e gli individui possono anche riflettere e pianificare. Possiedono lo strumento per controllare la tirannia delle emozioni: si chiama ragione La coscienza è un ingrediente indispensabile della mente umana creativa, ma non è tutta la mente umana, e... non è neanche l'apice della complessità mentale. Per quanto forti siano le conseguenze degli espedienti biologici che generano la coscienza, io la considero come un livello intermedio più che come il culmine dello sviluppo biologico. L'etica e la legge, la scienza e la tecnologia, l'opera delle Muse e la benedizione della bontà umana, questo vedo all'apice della biologia". Buona lettura.

 

Franco Gnudi

IBTG, Torino

 

 

Giovanni Stanghellini
 

Psicopatologia del senso comune
Raffaello Cortina editore
Milano, 2006 - euro 22

 

 

Questo libro di  Giovanni Stanghellini propone una lettura inedita e molto interessante della psicopatologia della schizofrenia e della psicosi maniaco-depressiva a partire da una dichiarata e feconda contaminazione fra sapere filosofico e sapere psicopatologico. Ma il lavoro è anche attentamente sostenuto dall’integrazione dei recenti sviluppi delle neuroscienze, dell’infant research e della psicoterapia.

Lo studio, di taglio chiaramente fenomenologico,  prende le mosse da una rivisitazione critica ed accurata delle prospettive psicopatologiche sulla psicosi nella storia della psichiatria. La traccia seguita dall’autore, e in linea con la tradizione della psichiatria fenomenologia, è che la psicosi sia lo scacco del soggetto come essere sociale. L’analisi di questo “essere sociale” portata avanti nel testo mette in relazione, in particolare, il concetto di senso comune, koine aisthesis, di Aristotele con il funzionamento dei neuroni mirror e con la prospettiva dell’intersogettività di Stern. Il senso comune che l’autore identifica come fondamento del poter-essere-sociali (e quindi non psicotici) è una percezione diretta, pre-cognitiva, corporea e incarnata dell’altro e di sé sulla quale si basa la sintonizzazione reciproca e ogni possibilità comunicativa. E’ questo “senso comune” che risulta essere profondamente disturbato nell’esperienza psicotica schizofrenica e maniaco depressiva. Il libro tratta del vissuto soggettivo di queste due esperienze psicotiche mettendone in luce le specificità e le differenze: “le persone vulnerabili alle schizofrenie sono debolmente ancorate al senso comune, mentre quelle vulnerabili alle psicosi maniaco-depressive sono pesantemente incagliate ad esso”.

Si tratta di un incrocio di prospettive con il quale è estremamente interessante confrontare e situare la nostra prospettiva gestaltica: il dialogo con queste linee di riflessione e ricerca non può che confermare e rafforzare la nostra definizione teorica e la nostra phronesis clinica. La linea di ricerca che Stanghellini ci propone nel suo libro può dare un significativo sostegno al nostro sforzo di mantenere il discorso psicopatologico sempre sul filo della relazione e dell’intersoggettività cercando di evitare di considerare il malessere come un attributo dell’individuo, ma rimandandolo sempre alla relazione. Sforzo difficilissimo per i limiti stessi del nostro linguaggio cartesiano e sempre in bilico perché la semplificazione indotta dalla prospettiva individuale e intrapsichica ci attrae e nello stesso tempo ci sottrae dal gioco angosciante e paradossale del sintonizzarci con l’in-sintonizzabile.

 

Gianni Francesetti

 Istituto di Gestalt HCC

 

 

 

 Eugène Minkowski


Verso una cosmologia
Frammenti filosofici

Introduzione di Eugenio Borgna
Einaudi 2006, Euro 22

La lettura di questo libro per un terapeuta della Gestalt è al tempo stesso un incontro con le proprie radici epistemologiche e un’apertura verso possibilità di ricerche future, stimolate da spunti a volte frammentari, ma capaci sempre di sbalzare l’attenzione verso l’irriducibile freschezza e novità dell’ovvio. “Verso una cosmologia” è un testo pubblicato per la prima volta nel 1936 e ora disponibile in Italia grazie all’edizione della Biblioteca Einaudi e all’introduzione di Eugenio Borgna. E’ il libro che chiude la trilogia di Minkowski dopo “La schizofrenia” e “Il tempo vissuto”, ed è uno studio sulla percezione e più precisamente sul sentire, declinato nelle sue varie modalità sensoriali. 

L’autore, uno dei primi e più raffinati studiosi che traccia l’incontro fra fenomenologia e psicopatologia, ci offre, attraverso un linguaggio poetico dalle inattese aperture, un testo esemplare e vivo che ci consente di avvicinare l’esperienza della ‘posizione’ fenomenologica e di attraversarla “in vivo”. Un libro, afferma Borgna nella sua introduzione, “così attuale e così prodigiosamente vicino ai grandi problemi della condizione umana che, ieri come oggi, non può essere colta nei suoi abissi di significato psicologici e psicopatologici se non con un linguaggio estraneo a ogni gergalità e ad ogni riduzionismo terminologico”.

Oltre ad essere un esempio attualissimo di fenomenologia viva, il testo offre alcuni spunti illuminanti di confronto con la posizione psicoanalitica, come ad esempio la critica alla visione del lavoro artistico, indebitamente ridotto, secondo l’autore, all’espressione sublimante di un conflitto affettivo che non dà ragione dello slancio creativo, il quale trae forza da ben altre inquietudini e ricerche. Questo slancio creativo non proviene infatti da un conflitto affettivo intrapsichico, ma da quello che Minkowski chiama conflitto “antropo-cosmico”, un conflitto, cioè, che si tende fra le forze irrimediabilmente contrapposte fra individuo e ambiente, fra uomo e cosmo. Come non ritrovare assonanze significative con il concetto gestaltico di adattamento creativo, ricerca di una sintesi tutt’altro che intrapsichica che si srotola sulla linea di confine in cui l’ambiente e l’organismo si incontrano e con-finiscono?

Gianni Francesetti

 Istituto di Gestalt HCC


 

 

Giacomo Rizzolatti, Corrado Sinigaglia


So quel che fai
Il cervello che agisce e i neuroni specchio

R. Cortina, 2006, Euro 21


La scoperta dei neuroni mirror, avvenuta a metà degli anni ’90 ad opera di Giacomo Rizzolatti e collaboratori dell’Università di Parma, ha aperto nuove e rivoluzionarie prospettive di ricerca nell’ambito delle neuroscienze, con conseguenze che stanno attraversando ambiti disciplinari diversi come la psicologia, la pedagogia, la sociologia, l’antropologia, la linguistica.

I mirror costituiscono una popolazione neuronale che presenta un funzionamento davvero eccezionale: essi si attivano non solo quando il soggetto compie un’azione, ma anche quando vede un altro compierla oppure avere l’intenzione di compierla. Inoltre, il sistema mirror si attiva allo stesso modo quando il soggetto prova un’emozione e quando vede un altro provarla.

Questo libro, scritto da Rizzolatti (Direttore del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Parma) e da Sinigaglia (che insegna Filosofia della Scienza all’Università di Milano), ha il merito di presentare con chiarezza i risultati di queste ricerche e di evidenziarne le implicazioni cognitive, comunicative e, in un certo senso, relazionali.

Per noi gestaltisti è particolarmetene interessante trovare la corrispondenza con alcune nostre linee epistemologiche di fondo. Alcuni esempi: c’è una comprensione che non è cognitiva, ma immediatamente presente nell’azione (“il cervello che agisce è anche e anzitutto un cervello che comprende”, pag 3); la realtà non è indifferente o neutra, ma già eccitante e intenzionata (“…la tazzina funge da polo d’atto virtuale (…) la vista della tazzina non sarebbe che una forma preliminare d’azione, una sorta di appello ad agire che (…) la caratterizza come qualcosa da prendere per il manico, con due dita, ecc., identificandola così in funzione delle possibilità motorie che essa racchiude”, pag. 47-48); l’individuo/organismo separato dal suo ambiente/contesto è un’astrazione (“Ciò mostra quanto radicato e profondo sia il legame che ci unisce agli altri, ovvero quanto bizzarro sia concepire un io senza un noi”, pag 4).

Inoltre è sorprendente trovare nel testo autori a noi molto familiari e persino costitutivi delle nostre radici (G.H. Mead, W. James, M. Merleau-Ponty) che vengono citati e valorizzati per aver fornito ante-litteram alcune delle più precise descrizioni fenomenologiche dell’esperienza intersoggettiva, oggi ampiamente confermate da queste scoperte. A questo proposito viene citato anche Daniel Stern (il quale nei suoi lavori cita a sua volta ampiamente queste ricerche) in quanto il sistema dei mirror sarebbe alla base dell’intersoggettività, quell’esperienza di reciprocità (“io so che tu sai che io so…”) che costituisce la matrice fondamentale delle interazioni umane.

Un libro, dunque, che offre un accessibile aggiornamento su queste ricerche e conferma la validità delle straordinarie intuizioni teoriche dei nostri fondatori attraverso un differente linguaggio e in un ambito di indagine attiguo alla nostra quotidiana esperienza clinica.

Gianni Francesetti

 Istituto di Gestalt HCC


 

 

James W. Barron (a cura di)


Dare un senso alla diagnosi
R. Cortina, 2005, Euro 35


Il DSM, nelle varie edizioni che si sono susseguite dalla sua prima stesura nel 1951, è diventato il riferimento principale per quanto riguarda la classificazione e la diagnosi dei cosiddetti “disturbi mentali”. Si tratta di uno strumento discusso e controverso sia da parte dei ricercatori che, ancor di più, dei clinici.

Il libro raccoglie i contributi di vari autori (ricercatori, psichiatri, psicoanalisti, terapeuti della famiglia) che discutono e criticano i principi, le basi, le procedure del manuale cercando di metterne in luce i limiti e i vantaggi. L’utilità e la validità del “sistema DSM” è sottoposta al vaglio critico dei vari autori, alcuni dei quali si collocano a favore di un approccio diagnostico che tenga più conto della soggettività del paziente, del continuum dell’esperienza, della storia evolutiva, delle relazioni interpersonali e persino del vissuto controtransferale del terapeuta. Questa critica, anche se presenta punti di vista sistemici e che sostengono un approccio dimensionale e complesso, origina per lo più da una prospettiva teorica psicodinamica e psicoanalitica.

Il merito del testo è di offrire al lettore questo vivace dibattito dando l’occasione di approfondire criticamente i vari aspetti problematici della classificazione del DSM, prospettiva utile proprio laddove una distanza a priori rischia di essere preconcetta e poco argomentata, se non anche ideologica.

Al di là dell’utilità o della validità del DSM, resta l’importanza di riflettere sulla complessità dei temi legati alla diagnosi e alla psicopatologia: anche noi gestaltisti, che siamo stati capaci di evidenziare più di altri le trappole e i paradossi dell’astrazione diagnostica e della classificazione nomotetica, non possiamo eludere questo dibattito, se non altro per collocarci dialetticamente rispetto ad esso.


 
Gianni Francesetti

 Istituto di Gestalt HCC

 

 

 

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