RECENSIONI
GIUSEPPE SAMPOGNARO
scrivere l’indicibile
la scrittura creativa in psicoterapia della gestalt
Franco Angeli 2008
Euro 15
Il libro di G.
Sampognaro è un’opera scritta non solo da un addetto ai lavori
(l’autore è psicologo, psicoterapeuta della Gestalt) ma è il frutto
di una esperienza decennale e di una tecnica affinata da uno
scrittore che crede nel potere terapeutico della scrittura.
Il testo è
suddiviso sostanzialmente in tre parti. Una prima parte in cui si
parla della scrittura come atto creativo e viene introdotto il
concetto di scrittura come strumento di cura.
Una seconda parte
nella quale si descrivono i blocchi che impediscono il fluire di
tale processo creativo.
Nella parte finale
vengono descritte le modalità per superare il blocco.
C’è un ultimo
capitolo dedicato alla scrittura in gruppo. Come lo stesso autore
sottolinea, non vengono suggerite tecniche tout court , ma
viene proposto uno schema di lavoro nell’ambito di un gruppo.
Il filo conduttore
del libro è il ciclo di contatto e le modalità con cui si interrompe
la spontaneità al contatto. Questi due concetti, cardine nella
psicoterapia della Gestalt, vengono perfettamente adattati al
processo dello scrivere. Chi si appresta a scrivere sente un bisogno
che emerge dallo sfondo, si orienta, scrive (contatto pieno), ha
soddisfatto il suo bisogno di comunicare, si ritira in maniera sana
dal contatto. E così come avviene in tutte le altre modalità di fare
contatto, anche il processo dello scrivere può andare incontro a dei
blocchi.
Altro parallelo che l’autore crea è tra
scrittura e terapia. Utilizzando sempre il paradigma del ciclo di
contatto, spiega come la scrittura è indicativa dello stile
relazionale del pz e che la stessa può essere sostegno al contatto.
L’autore più volte sottolinea come, lo scrivere non equivale al
parlare e che non può sostituire l’atto verbale.
In ultimo, ma non
per questo meno importante, da sottolineare la chiarezza espositiva.
Il testo, che di fatto è un manuale di scrittura creativa, contiene
la scorrevolezza della narrativa, anche grazie ai tanti esempi
clinici che l’autore riporta. Talvolta le ferite sono così profonde,
che anche il solo sentire la propria voce che ne parla può essere
insopportabile. Scrivere, forse può favorire la comprensione e
l’integrazione del dolore nel romanzo della nostra vita.
Maria Luisa Grech
Istituto di Gestalt HCC, Siracusa
marialuisa
grech
prove di volo
Il Filo, Roma 2008
Con la sua opera
prima Marialuisa Grech – trent’anni, catanese, psichiatra e
psicoterapeuta della Gestalt – utilizza la metafora del volo per
tracciare il percorso di vita della protagonista. Arianna è una
ragazza in bilico tra un rapporto di coppia insoddisfacente e una
parallela storia clandestina che presto si rivelerà un vicolo cieco;
una famiglia ambivalente nel dare e nel pretendere sostegno; un
lavoro part time che fa da scenario alla sua segreta relazione
amorosa tanto appassionata quanto frustrante. Arianna riuscirà a
spiccare il volo quando si abbandonerà alla novità sconvolgente di
una maternità non programmata, trovando l’energia e il coraggio
sufficienti ad affrontare da sola la prova fondamentale della sua
giovane vita.
Il valore del
romanzo, da cui traspare la sensibilità terapeutica dell’Autrice,
sta nell’accattivante intreccio tra elementi espressivi poetici e
ironici. Attraverso una scrittura lieve e attuale, Marialuisa Grech
riesce a fotografare il crocevia di una esistenza femminile nella
delicata fase dello svincolo. Lo fa con uno stile sobrio e vivace,
che appassiona il lettore a cui affida l’intrigante compito creativo
di completare il non detto, decifrare gli umori dei personaggi,
definire la conclusione (volutamente rimasta aperta). Proprio come
fa il vero terapeuta, che non dà risposte preconfezionate ma pone
domande stimolanti, che spalancano nuovi orizzonti di
consapevolezza.
Giuseppe Zampognaro
Istituto di Gestalt
HCC, Siracusa
Pietro A. Cavalieri
Vivere con l’altro
Per una cultura
della relazione
Città Nuova 2007, Euro 14
Promuovere la cultura della relazione nella nostra società
complessa e caratterizzata da relazioni instabili, poco chiare e
“liquide”, appare il nodo centrale di questo testo.
Ai solidi legami di un tempo che tenevano insieme le coppie, le
famiglie, la Comunità si sono sostituiti i legami liquidi della
società globalizzata, un mare di incertezza, anche relazionale in
cui siamo costretti a navigare a vista senza impegni duraturi.
La paura di “consegnarsi” realmente e definitivamente all’altro
nella coppia o nella vita di famiglia coglie l’essere umano che
fugge “scegliendo l’esilio da ogni obbligo o responsabilità di
natura relazionale”; è come se avessimo disimparato a vivere con
l’Altro.
Posto che sembrano venir meno le competenze relazionali , cioè
l’ascolto , la capacità di mettersi nei panni degli altri, la
disponibilità alla condivisione, la solidarietà, l’Autore afferma
con forza e passione la centralità del “bene relazionale” quale
esperienza di essere “riconosciuti” e di “riconoscersi”; tale bene
pur essendo immateriale e non visibile, rappresenta “la risorsa
più vitale e inestimabile per la propria crescita personale”.
In tale prospettiva, nella prima parte del libro, viene posta in
rilievo la necessità di un’alfabetizzazione relazionale, una sorta
di “grammatica per vivere con l’Altro”, le cui proposizioni
principali vengono individuate nell’ essere consapevoli delle
proprie e delle altrui emozioni e nell’essere in grado di leggere la
propria e altrui intenzionalità; nell’esprimere azioni congruenti;
nel promuovere e sostenere relazioni di reciprocità; nel saper
decodificare e gestire i conflitti; nel riconoscere i tempi della
relazione.
Nella seconda parte del testo, dopo aver dato spazio, attraverso un
approccio interdisciplinare, a una riflessione di ampio respiro sul
tema della relazione in ambito antropologico, filosofico, religioso,
l’Autore si sofferma sulle tematiche relative alla relazione con
l’altro nella psicologia contemporanea; di particolare interesse il
riferimento alle ricerche riguardanti le elaborazioni sull’Altro
come “regolatore” e “organizzatore” del Sé; sulla relazione
intersoggettiva e la dimensione della reciprocità; sulla relazione
con l’Altro nella nascita e nello sviluppo della vita mentale.
Dalla lettura del testo si coglie la sensibilità gestaltica
dell’Autore che è riuscito a conciliare la leggerezza del tono
divulgativo del volume con la profondità e la consistenza
dell’argomento trattato.
Francesca Assunta Tolentino
Istituto di Gestalt HCC
Giovanni Salonia
odòs – la via della vita
genesi e guarigione dei legami fraterni –
EDB, Bologna 2007
“Essere cristiani non significa avere una chiave di lettura più
adeguata di altre, che sottragga lo scienziato o, nel nostro caso,
lo psicologo credente, alla fatica e al rischio della storicità
radicale in cui siamo immersi. Dobbiamo cercare, dobbiamo tentare di
capire, con umiltà, perché il vangelo non è un sapere, non è una
rivelazione metafisica che fissi una volta per tutte i limiti e i
significati dell’esistenza, bensì il dono di una relazione vitale,
che illumina e sostiene chi la vive, che accade e si dà nella storia
e non al di fuori di essa.”
Queste parole, tratte dal prologo di Odòs, ci permettono di entrare
in questo libro sapiente e intimo, denso di contenuti, riferimenti e
citazioni. Sono parole che aprono possibili intersezioni fra i
percorsi di noi lettori e quelli dell’autore.
E’ un libro calato nel particolare – un’esperienza religiosa e un
modo di esplorarla, con il sostegno di una vasta sapienza umana e
umanistica - eppure universale. Perché universale? Perché esplorare
“fino in fondo” la relazionalità nel proprio orizzonte etico e
spirituale di riferimento ha una valenza universale; ma anche perché
le tematiche e gli interrogativi cristiani sono universali, anche se
universali potrebbero non essere le risposte. Universali sono anche
le domande e i temi delle discipline umanistiche, della
psicoterapia, pur nella loro collocazione in tempi, luoghi e
contesti specifici. “Un libro al confine fra fede e psicoterapia”
viene definito nella quarta di copertina. Troviamo quindi, nel
testo, tutta la ricchezza, le potenzialità, le scoperte dello stare
al confine fra esperienze e saperi così articolati.
Il testo è diviso in tre parti, che hanno un filo conduttore comune,
ma anche una certa autonomia fra di loro.
Dopo un’introduzione su rapporti, intersezioni, debiti e
incomprensioni reciproche fra scienze umane e fede (e più
specificamente fra psicoterapia e cristianesimo), nella prima parte
vengono presentati, con un approccio ermeneutico denso,
contemporaneamente rigoroso e personale, i fondamenti dei testi
biblici, come chiave della relazionalità e della vita.
Nella seconda parte questi fondamenti diventano esperienza viva
attraverso il percorso e la vita di San Francesco d’Assisi e della
fraternità da lui fondata.
Nella terza parte l’esperienza si allarga, soprattutto attraverso
una focalizzazione sulla vita consacrata, all’esistenza cristiana,
ma anche, in parte, all’esistenza di ognuno.
L’insieme è una sequenza, una progressiva “incarnazione” di temi
spirituali e umanistici, delle tematiche relazionali, che
comprendono in sé gli inizi, la vita e la morte.
Ma è difficile fissare uno schema: si tratta di un testo così ricco,
da essere difficilmente definibile, circoscrivibile. E’
contemporaneamente il risultato di teorie, esperienze, riflessioni,
ed è anche il percorso che ha portato a tale risultato. Leggerlo
significa davvero entrare in un cammino, percorrere strade: ogni
capitolo, ogni frase, ogni parola è una figura che lascia
intravedere mille sfondi. Esperienza, conoscenze teoriche, sfondi
relazionali e figure sapienziali sono intersecati e vengono
restituiti ai lettori in tutta la loro complessità, ma, anche, in un
linguaggio semplice e diretto. E i lettori possono trasformare tutto
questo in orientamento, nel senso che sostiene ed è insito in ogni
intenzionalità relazionale.
“(…) la ricerca dell’autore parte dall’assunto che la fraternità
porta con sé un dramma, un sentirsi traditi e messi da parte: come
fu per Caino e Abele, l’esistenza del fratello ricorda all’uomo che
non è figlio unico.” (dalla quarta di copertina)
Centrale è l’origine. Non possiamo non chiederci da dove veniamo:
non si tratta delle distinzioni fra laici e credenti, fra esperienze
e percorsi di fede diverse.
“La struttura delle relazioni di base della condizione umana si
articola infatti in una triade: maschio/femmina, genitori/figli,
fratelli/sorelle. (…) Questi tre legami, di cui è composta la
struttura di fondo dell’affettività umana, sono biblicamente
inseriti all’interno di un altro rapporto che a essi dà forma e
significato: il rapporto con l’inizio (sia esso chiamato YHWH o
Vita). Di fronte alla constatazione inevitabile che il principio non
gli appartiene (e che non potrà mai darselo da solo), l’uomo è
costretto a decidere circa la qualità e il senso della propria
creaturalità.” (dal testo)
Non è un libro rivolto solo a lettori cristiani; non è un testo
diretto in modo esclusivo a chi ha fede. Perché la laicità non è
certo una scorciatoia, non significa non interrogarsi, non
collocarsi nel mondo: è una responsabilità sul proprio essere
uomini, sul proprio essere gettati nel mondo e inseriti in una
molteplice relazionalità. Nel mistero dell’origine, nell’alterità
della nostra origine, nella creaturalità, è inscritta la
relazionalità stessa.
E’ un libro che ci accosta al mistero dell’uomo, di ogni uomo e
donna nella sua specificità, unicità e diversità.
Sono parole che nutrono e che lasciano intravedere sfondi, percorsi,
attuati e possibili. Per questo il testo, pur essendo accessibile a
un pubblico più vasto, è, prima di tutto, un appello a formatori,
educatori, psicoterapeuti, religiosi, a chiunque senta e viva la
responsabilità verso l’”altro”. A sua volta il lettore può porgere
ad altri parole e contenuto del testo, come ha fatto, per primo,
l’autore.
Il mistero dell’origine non ci appartiene: se dimentichiamo questo,
se dimentichiamo la parità e la creaturalità originaria, non
sappiamo vivere nella polis.
“In questo quadro, anche il potere viene risignificato. Quando
l’uomo non accetta il rimando a un’origine da cui deriva una comune
appartenenza, imbocca la strada di farsi dio contro il fratello (per
dominarlo e vincere su di lui) o sceglie di fare del fratello un
dio, diventandone schiavo e rinunciando alla propria dignità, alla
propria libertà (qua nota): il potere sull’altro come delirio di
divinità o come sottile manipolazione.” (dal testo)
Nella seconda parte del testo vengono presentate ulteriori sfide: i
fondamenti della vita e della relazione vengono rivisti nella
difficile esperienza della fraternità, attraverso i pensieri, gli
atti, le scelte di Francesco d’Assisi. Sono capitoli, forse, meno
diretti rispetto ai primi. Per coglierne appieno i contenuti è
necessario un cambio di prospettiva, uno sforzo nel cogliere la
diversità: la specificità di un percorso e di un’esistenza. Solo
dopo questo movimento si può, nuovamente, cogliere la valenza più
ampia del testo.
“Nella fraternità (…) nessuno è definito “padre”. La vita tra
fratelli colloca chi vi partecipa in una parità costitutiva, che è
rispetto della diversità.” (dal testo)
Dalla distinzione fra fraternità e comunità si dipana una trama in
cui, accostandoci alla figura, al percorso, alle scelte di Francesco
d’Assisi, entriamo nell’esperienza della diversità vera, quella che
si può conoscere e accettare solo attraverso un travaglio; entriamo
nel rapporto fra responsabilità e accettazione della libertà
dell’altro, della parità costitutiva dell’altro. Emblematico è il
titolo di un paragrafo: “Tra fondatore e fratello: un conflitto da
non risolvere.”
Si tratta della
lacerazione insita nell’avere fede: nella relazionalità,
nell’intenzionalità relazionale, nell’essere, prima di tutto,
creatura fra le creature. Una fede che porta a fare e a costruire,
accettando di non essere padroni del risultato del proprio fare e
della direzione ultima del proprio movimento. Una fede che è
aprirsi, anche con sofferenza, alla diversità dell’altro, senza
perdere la responsabilità verso quello che si è fatto e si continua
a fare, e a essere.
La terza parte del testo compie un ulteriore passo verso la
concretezza dell’esistenza cristiana e quindi di ogni esistenza:
esistere, attraversare i misteri delle origini, della vita e della
morte, implica sempre una direzione e un senso, o, più esattamente,
lo sforzo di non smarrire la direzione e il senso, e, quindi, le
origini.
Anche in questo caso sono emblematici i titoli di due capitoli:
“L’esistenza come formazione”, “Prendersi cura della fraternità (e
del fratello) nel tempo della soggettività”. Sono titoli, ma anche
progetti, strade, tracce.
“Il mondo di oggi non ha bisogno di maestri, ma di compagni di
viaggio. Riesce ad ascoltare solo i fratelli.” (dal testo)
Michela Gecele
Istituto di
Gestalt HCC
VANNA IORI
NEI SENTIERI DELL’ESISTERE
SPAZIO, TEMPO, CORPO, NEI PROCESSI FORMATIVI
Erickson, Trento 2006; pp 221,
€
18,50
In questo interessante testo, l’autrice
Vanna Iori esplora i processi formativi secondo l’orientamento di
una pedagogia fenomenologico–esistenziale.
Nella prima parte vengono elaborati i
concetti fondanti di una pedagogia con tale orientamento: progetto
formativo inteso come progettazione esistenziale condivisa dai due
poli dell’interazione educativa (con-essere educativo), che è aperta
al nuovo e si alimenta dell’esperienza passata; assunzione di
dignità scientifica alla soggettività della persona, in termini di
libertà, autenticità e responsabilità; valore dei vissuti e
dell’empatia nel campo educativo, empatia che ha la capacità di
perseguire un significato per l’esistenza umana, ed in particolare
per l’agire educativo (o “cura educativa”). A questo riguardo,
vogliamo sottolineare l’acuta definizione di empatia, ricordata
dall’autrice, o meglio (come lei dice) di “entropatia”: “…conoscere
i vissuti esperienziali altrui, presenti in me attraverso il
rapporto con l’altro, nel mondo dell’esistenza comune. (….).
Empatizzare significa stare in prossimità dell’altro (….),
prossimità nella distinzione (….)”. (pp 41,42).
Vanna Iori, inoltre esplicita
l’importanza, da parte di chi agisce in termini di cura educativa,
di possedere abilità relazionale e capacità di accoglienza della
dimensione affettiva e corporea, per aiutare gli altri ad elaborare
i propri sentimenti, come chiavi di lettura dell’esperienza , per
poter “sentire” l’alterità e la sua vicinanza.
Nella seconda parte del testo, l’autrice
ci introduce ai tre temi “linee di fuga” per uno sguardo educativo
d’impronta fenomenologico-esistenziale: lo spazio-vissuto,
come spazio educativo, sia in termini di spazio interiore che di
spazio-territorio (la casa, la terra…); la temporalità, come
costitutiva di ogni esperienza di formazione, (tessuto temporale
declinantesi in tempo della memoria, tempo dell’”experiri” e tempo
del pro-getto); il corpo-vissuto, corpo come prima
effettività dell’esistenza, soggetto-corpo maschile o femminile che,
nel suo vissuto d’esperienza, incontra altri corpi con i quali
crescere, attraversando le varie tappe del ciclo di vita.
Questo testo può sicuramente arricchire il
“ground” di uno psicoterapeuta della Gestalt interessato alla
relazione educativa (e non solo). Esso, infatti, fornisce un
linguaggio rigoroso dal punto di vista fonomenologico-esistenziale,
contestualizzando con chiarezza molti concetti cari ad un
gestaltista: intenzionalità, sguardo fenomenologico, progettazione
esistenziale, spazio-tempo vissuti che si manifestano nella
corporeità vissuta, orizzonte di senso, responsabilità….
Nello stesso tempo, come psicoterapeuti
della Gestalt, possiamo cogliere il frutto di una “prossimità nella
distinzione”. Infatti, sia per questa autrice che per la PdG,
l’evento educativo è visto come una relazione, un rapporto di
reciprocità, colto “in situazione”, ma la qualità dello sguardo
della Iori e di quello della PdG è un po’ diversa. La prima è
paragonabile ad una visione grandangolare, che ha grande respiro ma
può perdere in intensità; la seconda è più simile alla visione data
da un obiettivo ad alta definizione, che coglie pienamente, ed in un
solo colpo d’occhio, l’attimo, ma può rischiare di slacciarlo dal
suo sfondo.
In conclusione, la lettura di questo testo
può contribuire ad arricchire lo sfondo di uno psicoterapeuta della
Gestalt, a sostegno nella notevole capacità di integrazione e
“coagulazione” di esperienze che il suo modello gli permette.
Maria Mione
Istituto di Gestalt H.C.C. Sede di
Venezia
ANTONIO DAMASIO
EMOZIONE E
COSCIENZA
Ed. Adelphi, marzo
2005
€30,00
Titolo
originale: “The Feeling of What Happens – Body and Emotion in the
Making of Consciousness”, 1999
Neuroscienziato e
ricercatore di fama, Damasio si rammarica profondamente che le
geniali intuizioni di Charles Darwin e di William James sulla
funzione evolutiva/adattiva e sulla origine percettivo/corporea
delle emozioni siano rimaste a lungo abbandonate ed inesplorate
dalla ricerca, e dedica il suo lavoro alla costruzione di ponti fra
sperimentazione ed esperienza, ragione ed emozione, mente e corpo,
organismo e ambiente (dolorose scissioni che Goodman definì a suo
tempo "nevrotiche"). Dall’altra parte del ponte, i terapeuti della
Gestalt hanno a loro volta un gran bisogno – per sfuggire dalla
trappola del narcisismo delle avanguardie - di confrontare le
originali intuizioni di Perls e Goodman e la propria pratica clinica
sia con le altre psicoterapie che con i dati che emergono dal campo
condivisibile delle neuroscienze e dell’enfant research. E Damasio
parla, per nostra fortuna, un linguaggio comprensibile e familiare,
oltre che rigoroso: emozione e coscienza, sé, processo, funzione,
organismo, ambiente, omeostasi, creatività ...
Come già per Perls fin
dai tempi di “L’Io, la fame e l’aggressività”, la mente per Damasio
è una funzione organismica, filogeneticamente tardiva, apparsa ai
fini della sopravvivenza individuale e della specie in
organismi/ambienti complessi. Essa consiste nella capacità – resa
possibile dall’evolversi strepitoso del Sistema Nervoso Centrale -
di rappresentare “per immagini” sia l’ambiente esterno che
l’ambiente corporeo, fra loro in interazione reciproca, e di
elaborare tali stati ed interazioni in mappe dinamiche, causali e
predittive, come basi di una autoregolazione metabolica e
comportamentale (nell'animale-uomo anche consapevole e creativa),
che si concretizza, per psicologia e psicoterapia della Gestalt, nel
processo figura-sfondo.
Le emozioni
(“la saggezza del corpo” secondo Perls e Goodman) sono per Damasio
le risposte complesse e immediate dell’organismo - neurali,
metaboliche, cognitive e comportamentali - attivate in specifiche
zone del SNC ad opera delle “immagini” di
oggetti/soggetti/situazioni esterne innate o ad esse collegate
attraverso l’esperienza.
Allorché le emozioni –
in quanto variazioni corporee (umorali, viscerali,
muscolo-scheletriche) e cognitive (focalizzazione, attenzione,
accelerazione della produzione di immagini ..) - sono rappresentate
in alcune mappe neurali del secondo ordine insieme e
contemporaneamente alle immagini degli stimoli ambientali (visive,
uditive, tattili …) che le hanno indotte, si originano i
sentimenti, la percezione delle emozioni dell’organismo in
interazione con l’ambiente (con funzione di retroazione positiva, in
grado di accentuare rapidità, intensità ed efficacia della stessa
reazione emotiva).
Il sentimento dei
sentimenti, prodotto dal vario collegarsi delle precedenti mappe
neurali del secondo ordine, è il “senso di sé nell'atto di
conoscere” o “coscienza nucleare”, la consapevolezza di
avere percezioni, emozioni ed azione nel qui ed ora rispetto
ai soggetti/oggetti dell’ambiente.
La coscienza nucleare
rappresenta – secondo Damasio – solo il primo livello di coscienza
che "fornisce l'organismo di un senso di sé in un dato momento
-ora- e in un dato luogo-qui-. Il raggio della coscienza nucleare è
il qui ed ora. La coscienza nucleare non illumina il futuro e
l'unico passato che ci lascia vagamente intravedere è quello
trascorso un istante fa. Non esiste un altrove, non esiste un prima,
non esiste un dopo... è stabile in tutto l'arco di vita
dell'organismo…“.
Questa consapevolezza
istantanea, questo senso di sé in interazione qui ed ora con
l’ambiente, consente all’organismo di creare mappe e schemi
organismo/ambiente colorati di piacere e dolore, di apprendere
dall’esperienza, di aumentare le conoscenze e capacità nelle
situazioni affini e arricchire il campo attuale di valenze positive
e negative che guidino il movimento in esso. Dalla coscienza e dal
sé nucleare emergono il senso di sé dell’esperienza comune con tutte
le sue potenzialità : la coscienza estesa ed il sé
autobiografico.
Citando a questo proposito Damasio :
“in ogni momento molti di questi ricordi impliciti possono essere
resi espliciti simultaneamente. La loro attivazione in forma di
immagini costituisce lo sfondo di ogni momento di una vita mentale
sana ... Questo è il materiale che usiamo quando descriviamo la
nostra personalità o le particolari caratteristiche del modo di
essere di un'altra persona.... Il super senso della coscienza estesa
alla fine porta alla luce un essere fatto e finito. Nella coscienza
estesa, sia il passato sia il futuro previsto vengono percepiti
insieme al qui ed ora in un'ampia visione che abbraccia tutto
l'orizzonte, come in un romanzo epico. ... i livelli di conoscenza
che consentono la creatività umana sono quelli che soltanto la
coscienza estesa permette…”.
Presente pieno di passato e di futuro,
comportamenti qui ed ora influenzati dagli schemi interattivi
appresi e dalle conseguenti aspettative, ma anche capacità di
organizzare creativamente la situazione attuale ed i propri
comportamenti tenendo conto delle sue originali specificità,
comprensioni istantanee (insight) ma anche tempo per un’aumentata
consapevolezza e ragionamento, al fine di creare interazioni
virtuali prima ancora che azioni concrete, sulle quali il giudizio
ultimo – in termini di valori, sopravvivenza, gratificazione - torna
nuovamente all’emozione ed al sentimento. Con le parole di Goodman "
il corpo è pieno di una saggezza ereditata... nelle sue emozioni
possiede una sorta di conoscenza dell'ambiente nonché delle
motivazioni per l'azione ... Le emozioni sono un mezzo di
cognizione. Lungi da costituire degli ostacoli al pensiero, essi
sono le espressioni uniche dello stato del campo
organismo-ambiente... In quanto cognizione sono fallibili, ma
correggibili, non respingendole ma cercando di vedere se possono
svilupparsi nei sentimenti più stabili che accompagnano
l'orientamento deliberato …". In questo senso Goodman intendeva
che la psicoterapia è "educazione delle emozioni", il
continuo recuperare, valorizzare e superare l’esperienza vissuta
trascorsa e i limiti della personalità e della cultura stessa.
Confrontiamo questo passo con le parole
di Damasio: " Le emozioni ben dirette e ben dispiegate paiono
essere un sistema di appoggio senza il quale l'intero edificio della
ragione non può operare a dovere ... negli organismi dotati di
coscienza, cioè in grado di sapere di avere sentimenti, si raggiunge
un altro livello di regolazione. La coscienza fa sì che i sentimenti
vengano conosciuti e quindi favorisce l'effetto delle emozioni
all'interno, fa sì che l'emozione pervada il processo mentale per il
tramite del sentimento... in tal modo la coscienza accresce la
capacità dell'organismo di reagire in maniera adattiva, attenta alle
esigenze dell'organismo in questione. L'emozione è dedicata alla
sopravvivenza di un organismo e così anche la coscienza... Quando si
dispone della coscienza, i sentimenti producono il massimo effetto e
gli individui possono anche riflettere e pianificare. Possiedono lo
strumento per controllare la tirannia delle emozioni: si chiama
ragione … La coscienza è un ingrediente indispensabile della
mente umana creativa, ma non è tutta la mente umana, e... non è
neanche l'apice della complessità mentale. Per quanto forti siano le
conseguenze degli espedienti biologici che generano la coscienza, io
la considero come un livello intermedio più che come il culmine
dello sviluppo biologico. L'etica e la legge, la scienza e la
tecnologia, l'opera delle Muse e la benedizione della bontà umana,
questo vedo all'apice della biologia". Buona lettura.
Franco Gnudi
IBTG, Torino
Giovanni Stanghellini
Psicopatologia del senso comune
Raffaello Cortina editore
Milano, 2006 - euro 22
Questo libro di Giovanni Stanghellini
propone una lettura inedita e molto interessante della
psicopatologia della schizofrenia e della psicosi maniaco-depressiva
a partire da una dichiarata e feconda contaminazione fra sapere
filosofico e sapere psicopatologico. Ma il lavoro è anche
attentamente sostenuto dall’integrazione dei recenti sviluppi delle
neuroscienze, dell’infant research e della psicoterapia.
Lo studio, di taglio chiaramente
fenomenologico, prende le mosse da una rivisitazione critica ed
accurata delle prospettive psicopatologiche sulla psicosi nella
storia della psichiatria. La traccia seguita dall’autore, e in linea
con la tradizione della psichiatria fenomenologia, è che la psicosi
sia lo scacco del soggetto come essere sociale. L’analisi di questo
“essere sociale” portata avanti nel testo mette in relazione, in
particolare, il concetto di senso comune, koine aisthesis, di
Aristotele con il funzionamento dei neuroni mirror e con la
prospettiva dell’intersogettività di Stern. Il senso comune che
l’autore identifica come fondamento del poter-essere-sociali (e
quindi non psicotici) è una percezione diretta, pre-cognitiva,
corporea e incarnata dell’altro e di sé sulla quale si basa la
sintonizzazione reciproca e ogni possibilità comunicativa. E’ questo
“senso comune” che risulta essere profondamente disturbato
nell’esperienza psicotica schizofrenica e maniaco depressiva. Il
libro tratta del vissuto soggettivo di queste due esperienze
psicotiche mettendone in luce le specificità e le differenze: “le
persone vulnerabili alle schizofrenie sono debolmente ancorate al
senso comune, mentre quelle vulnerabili alle psicosi
maniaco-depressive sono pesantemente incagliate ad esso”.
Si tratta di un incrocio di prospettive
con il quale è estremamente interessante confrontare e situare la
nostra prospettiva gestaltica: il dialogo con queste linee di
riflessione e ricerca non può che confermare e rafforzare la nostra
definizione teorica e la nostra phronesis clinica. La linea di
ricerca che Stanghellini ci propone nel suo libro può dare un
significativo sostegno al nostro sforzo di mantenere il discorso
psicopatologico sempre sul filo della relazione e
dell’intersoggettività cercando di evitare di considerare il
malessere come un attributo dell’individuo, ma rimandandolo sempre
alla relazione. Sforzo difficilissimo per i limiti stessi del nostro
linguaggio cartesiano e sempre in bilico perché la semplificazione
indotta dalla prospettiva individuale e intrapsichica ci attrae e
nello stesso tempo ci sottrae dal gioco angosciante e paradossale
del sintonizzarci con l’in-sintonizzabile.
Gianni Francesetti
Istituto di Gestalt HCC
Eugène Minkowski
Verso una cosmologia
Frammenti filosofici
Introduzione di Eugenio Borgna
Einaudi 2006, Euro 22
La lettura di questo libro per un
terapeuta della Gestalt è al tempo stesso un incontro con le proprie
radici epistemologiche e un’apertura verso possibilità di ricerche
future, stimolate da spunti a volte frammentari, ma capaci sempre di
sbalzare l’attenzione verso l’irriducibile freschezza e novità
dell’ovvio. “Verso una cosmologia” è un testo pubblicato per la
prima volta nel 1936 e ora disponibile in Italia grazie all’edizione
della Biblioteca Einaudi e all’introduzione di Eugenio Borgna. E’ il
libro che chiude la trilogia di Minkowski dopo “La schizofrenia” e
“Il tempo vissuto”, ed è uno studio sulla percezione e più
precisamente sul sentire, declinato nelle sue varie modalità
sensoriali.
L’autore, uno dei primi e più
raffinati studiosi che traccia l’incontro fra fenomenologia e
psicopatologia, ci offre, attraverso un linguaggio poetico dalle
inattese aperture, un testo esemplare e vivo che ci consente di
avvicinare l’esperienza della ‘posizione’ fenomenologica e di
attraversarla “in vivo”. Un libro, afferma Borgna nella sua
introduzione, “così attuale e così prodigiosamente vicino ai grandi
problemi della condizione umana che, ieri come oggi, non può essere
colta nei suoi abissi di significato psicologici e psicopatologici
se non con un linguaggio estraneo a ogni gergalità e ad ogni
riduzionismo terminologico”.
Oltre ad essere un esempio
attualissimo di fenomenologia viva, il testo offre alcuni spunti
illuminanti di confronto con la posizione psicoanalitica, come ad
esempio la critica alla visione del lavoro artistico, indebitamente
ridotto, secondo l’autore, all’espressione sublimante di un
conflitto affettivo che non dà ragione dello slancio creativo, il
quale trae forza da ben altre inquietudini e ricerche. Questo
slancio creativo non proviene infatti da un conflitto affettivo
intrapsichico, ma da quello che Minkowski chiama conflitto “antropo-cosmico”,
un conflitto, cioè, che si tende fra le forze irrimediabilmente
contrapposte fra individuo e ambiente, fra uomo e cosmo. Come non
ritrovare assonanze significative con il concetto gestaltico di
adattamento creativo, ricerca di una sintesi tutt’altro che
intrapsichica che si srotola sulla linea di confine in cui
l’ambiente e l’organismo si incontrano e con-finiscono?
Gianni Francesetti
Istituto di Gestalt HCC
Giacomo Rizzolatti, Corrado
Sinigaglia
So quel che fai
Il cervello che agisce e i neuroni specchio
R. Cortina, 2006, Euro 21
La scoperta dei neuroni mirror, avvenuta a metà degli anni ’90 ad
opera di Giacomo Rizzolatti e collaboratori dell’Università di
Parma, ha aperto nuove e rivoluzionarie prospettive di ricerca
nell’ambito delle neuroscienze, con conseguenze che stanno
attraversando ambiti disciplinari diversi come la psicologia, la
pedagogia, la sociologia, l’antropologia, la linguistica.
I mirror costituiscono una popolazione
neuronale che presenta un funzionamento davvero eccezionale: essi si
attivano non solo quando il soggetto compie un’azione, ma anche
quando vede un altro compierla oppure avere l’intenzione di
compierla. Inoltre, il sistema mirror si attiva allo stesso modo
quando il soggetto prova un’emozione e quando vede un altro
provarla.
Questo libro, scritto da Rizzolatti
(Direttore del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di
Parma) e da Sinigaglia (che insegna Filosofia della Scienza
all’Università di Milano), ha il merito di presentare con chiarezza
i risultati di queste ricerche e di evidenziarne le implicazioni
cognitive, comunicative e, in un certo senso, relazionali.
Per noi gestaltisti è particolarmetene
interessante trovare la corrispondenza con alcune nostre linee
epistemologiche di fondo. Alcuni esempi: c’è una comprensione che
non è cognitiva, ma immediatamente presente nell’azione (“il
cervello che agisce è anche e anzitutto un cervello che comprende”,
pag 3); la realtà non è indifferente o neutra, ma già eccitante e
intenzionata (“…la tazzina funge da polo d’atto virtuale (…) la
vista della tazzina non sarebbe che una forma preliminare d’azione,
una sorta di appello ad agire che (…) la caratterizza come qualcosa
da prendere per il manico, con due dita, ecc., identificandola così
in funzione delle possibilità motorie che essa racchiude”, pag.
47-48); l’individuo/organismo separato dal suo ambiente/contesto è
un’astrazione (“Ciò mostra quanto radicato e profondo sia il legame
che ci unisce agli altri, ovvero quanto bizzarro sia concepire un io
senza un noi”, pag 4).
Inoltre è sorprendente trovare nel testo
autori a noi molto familiari e persino costitutivi delle nostre
radici (G.H. Mead, W. James, M. Merleau-Ponty) che vengono citati e
valorizzati per aver fornito ante-litteram alcune delle più precise
descrizioni fenomenologiche dell’esperienza intersoggettiva, oggi
ampiamente confermate da queste scoperte. A questo proposito viene
citato anche Daniel Stern (il quale nei suoi lavori cita a sua volta
ampiamente queste ricerche) in quanto il sistema dei mirror sarebbe
alla base dell’intersoggettività, quell’esperienza di reciprocità
(“io so che tu sai che io so…”) che costituisce la matrice
fondamentale delle interazioni umane.
Un libro, dunque, che offre un accessibile
aggiornamento su queste ricerche e conferma la validità delle
straordinarie intuizioni teoriche dei nostri fondatori attraverso un
differente linguaggio e in un ambito di indagine attiguo alla nostra
quotidiana esperienza clinica.
Gianni Francesetti
Istituto di Gestalt HCC
James W. Barron (a cura di)
Dare un senso alla diagnosi
R. Cortina,
2005, Euro 35
Il DSM, nelle varie edizioni che si sono susseguite dalla sua prima
stesura nel 1951, è diventato il riferimento principale per quanto
riguarda la classificazione e la diagnosi dei cosiddetti “disturbi
mentali”. Si tratta di uno strumento discusso e controverso sia da
parte dei ricercatori che, ancor di più, dei clinici.
Il libro raccoglie i contributi di vari
autori (ricercatori, psichiatri, psicoanalisti, terapeuti della
famiglia) che discutono e criticano i principi, le basi, le
procedure del manuale cercando di metterne in luce i limiti e i
vantaggi. L’utilità e la validità del “sistema DSM” è sottoposta al
vaglio critico dei vari autori, alcuni dei quali si collocano a
favore di un approccio diagnostico che tenga più conto della
soggettività del paziente, del continuum dell’esperienza, della
storia evolutiva, delle relazioni interpersonali e persino del
vissuto controtransferale del terapeuta. Questa critica, anche se
presenta punti di vista sistemici e che sostengono un approccio
dimensionale e complesso, origina per lo più da una prospettiva
teorica psicodinamica e psicoanalitica.
Il merito del testo è di offrire al
lettore questo vivace dibattito dando l’occasione di approfondire
criticamente i vari aspetti problematici della classificazione del
DSM, prospettiva utile proprio laddove una distanza a priori rischia
di essere preconcetta e poco argomentata, se non anche ideologica.
Al di là dell’utilità o della validità del DSM, resta l’importanza
di riflettere sulla complessità dei temi legati alla diagnosi e alla
psicopatologia: anche noi gestaltisti, che siamo stati capaci di
evidenziare più di altri le trappole e i paradossi dell’astrazione
diagnostica e della classificazione nomotetica, non possiamo eludere
questo dibattito, se non altro per collocarci dialetticamente
rispetto ad esso.
Gianni Francesetti
Istituto di Gestalt HCC
|